SECONDO FLASHBACK
(Claudio ricorda)
Oh Merilù
Ma guarda un po’ che serata. Scemo io che li ho cercati.
Che fossero degli stronzi l’ho sempre sospettato, ma non fino a questo punto. E
pensare che fino a poco tempo fa questi amici erano tutta la mia vita. E quando
eravamo regazzini allora? Non parliamone. Kiko, Aldo e Gigi con me avrebbero
potuto diventare i nuovi Beatles… sarebbe bastato un po’ di fortuna, perché
eravamo dei mostri, ma soprattutto sarebbe bastato che gli altri tre non
avessero sempre in mente quella sciacquapalle della Merilù… Che tempi, vacca
rana. Sembra ieri, ma sono già passati sei anni. Ricordo ancora l’emozione
quando comprammo la prima chitarra: la mia era una Kit di terza mano. Giorni e
giorni sulla “Bambolina che fa no no no” e sulla “Canzone del sole” di Battisti
(ebbene sì, tutti i giovani chitarristi degli anni Sessanta hanno cominciato
con questi quattro accordi maggiori: La…
Mi… Re… Mi… a proposito devo scrivere a quel mio amico di
Milano che mi ha mandato la sua ultima canzone che si chiama “Ferragosto” per
dirgli che fa cagare), poi via col grande beat. Avevamo trovato una cantina a
seimila lire al mese… un amplificatore quasi inesistente, ma ci davamo dentro
con il repertorio dei Beatles e dei Rolling Stones, e alla fine (ce l’aveva
insegnata il papà di Kiko un giorno che era a casa dal lavoro) si terminava
sempre con “Rock around the clock” suonata in Re (Perché in Re e non in Mi come
Dio comanda? Ragioni artistiche? Ma non diciamo cazzate… semplicemente perché
io mi incasinavo con le dita e non riuscivo a fare il Si7). Mia mamma preparava
il supplì, Gigi portava una sigaretta fregata a suo padre (e ce la fumavamo in
tre, perché grazie al cielo Aldo non fumava), e per tre ore sognavamo il
momento in cui ci saremmo esibiti a Woodstock o all’isola di Wight. Ma quando
il clima si faceva magico, quando la musica cominciava a decollare, quando il
gioco si faceva duro ed i duri avrebbero potuto cominciare a giocare c’era
sempre qualcuno che diceva “scusate, interrompiamo… non sto bene” ed usciva
fuori solo per vedere se affacciata al balcone ci fosse quella stronzissima
della Merilù. Ci ha divisi. E’ stata la nostra Yoko Ono…
Beh, sinceramente mica è stata lei l’unico ostacolo… mettiamoci anche il
padrone che voleva i soldi dell’affitto (e chi ce li aveva?) mettiamoci la
vecchia che minacciava sempre di chiamare i carabinieri… Eppure eravamo forti.
“Come cazzo ci chiamiamo?” ci eravamo chiesti dal primo giorno. Uno proponeva “The musical beat and rock
sound system”, un altro “i figli del diavolo”, Aldo che faceva il classico
propose “Fervet opus”, o, come scrissi io sul foglietto su cui raccoglievamo
tutte le proposte, “Ferve Topus” (non ho mai saputo che cazzo volesse dire…),
poi grazie al cielo passò la mia proposta di chiamarci “i Sandokan”, un nome
gagliardo trovato sull’ “Enciclopedia dei Ragazzi” . Altra questione mica da
ridere per dei beatniks come noi che avevamo nel sangue il “Liverpool sound”:
dove troviamo i soldi per la batteria? Non li trovammo da nessuna parte ed
infatti usavamo due fustini del Dixan... Ma eravamo forti, un vero mito saremmo
potuti diventare… tanto che una sera ci chiamarono a suonare al Fox… Non
dimenticherò mai quanto spendemmo per noleggiare gli abiti adatti… non
dimenticherò mai le ore ed ore di prove per copiare alla perfezione la mossa
dei Rokes in “Bisogna saper perdere”… ma non dimenticherò mai neppure che alla
quarta o quinta canzone qualcuno gridò “a coatti… se manco sapete suonare non è
meglio che vi togliete dai coglioni?… ma ve ne volete annà o ve dobbiamo
cacciare a pedate nel culo?”. Ci guardammo in faccia, attaccammo “Rock around
the clock” (rigorosamente in Re, nonostante Kiko mi supplicasse di farla in Mi)
e poi via… senza manco il coraggio di andare a ritirare le venticinquemila lire
che ci avevano promesso. Io avevo le lacrime agli occhi e continuai per tutta
la sera a dire, ragazzi non ci siamo esercitati abbastanza, alla musica
dobbiamo dedicare più tempo e tutti a trovare scuse… io ho judo… io devo
studiare… io abito lontano… balle… tutti e tre si catapultavano come deficienti
sotto il balcone della Merilù. La cosa mi scocciava un casino, anche perché,
ormai posso ammetterlo tranquillamente,
avrei voluto esserci io sotto quel balcone. Anche a me piaceva da pazzi.
A noi ci ha rovinato la
Merilù. E’ stata la nostra Yoko Ono.
Ma sono stati anni stupendi. E’ stata un’amicizia stupenda. Stasera mi hanno
deluso.
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