mercoledì
Con tutto l’amore
che posso
A quei tempi del calcio non me ne fregava niente, ma
l’idea che i miei fossero andati con un treno speciale della ditta dove lavorava
mio padre a Graz a vedere la Roma in coppa Uefa mi aveva dato un senso di
felicità inaudito. Telefonai a Camilla e scoprii con incredulità che anche i
suoi e suo fratello erano andati alla partita.
“Allora stasera siamo soli… vengo da te?”
“Sì bravo, così domani i vicini lo dicono ai miei e mio
padre mi spara”
“Ti direi di venire da me, ma ho una portiera che non si
fa mai i cazzi suoi”
Ci accordammo per farci una pizza in centro e poi due
passi sul lungotevere.
Il tramonto era di una bellezza da togliere il respiro.
Mi venne in mente uno dei pochissimi frammenti di letture scolastiche che ti
entrano nella pelle e ci rimangono per tutta la vita. Una volta in
quinta il professore di italiano ci aveva letto l’inizio di un romanzo. Non
chiedetemi titolo ed autore perché non me li ricordo. Una palla micidiale: un
tipo che se la tirava da matti, principe, spadaccino e poeta aveva avuto una
relazione con una mezza baldracca, tale Elena Muti (anche se il giorno
dell’interrogazione avrei fatto ridere i polli chiamandola Ornella), poi si
erano piantati, erano passati due anni e lui l’aveva invitata di nuovo a casa
sua e fremeva nell’attesa “e se Elena non venisse… ma verrà… eccola è lei… non
è lei… e preparava il tè… e il camino… e naturalmente il letto… e ne ricordava
il viso… e la voce.. e il passo… mai letta una menata più pallosa, tutta la
classe che sbadigliava e si lamentava… eppure al momento, quando il professore
aveva cominciato a leggere, le prime due righe mi avevano affascinato, ero
rimasto estasiato come raramente mi accadeva. Me le ero trascritte, me le rileggevo spesso e me le ripetevo a memoria:
“L'anno moriva, assai dolcemente. Il sole di San
Silvestro spandeva non so che tepor velato, mollissimo, aureo, quasi
primaverile, nel ciel di Roma”. Quelle parole mi avevano emozionato,
come sempre mi emoziona un tramonto romano. Ed eccoci qui questa sera a veder
tramontare il sole dietro i colli… Il vento ci soffia in faccia; la luce del
tramonto colora magicamente tutto il paesaggio… io all’improvviso, come in un
film, mi metto a gridare: “Camillaaaaaaaa” e lei di rimando:
“Claudioooooooooooo” .
Ed io di nuovo: “Camillaaaaaaaa” e lei subito:
“Claudioooooooooooo” .
Ci fosse un albero o un muro vi incideremmo il cuore
trafitto e le nostre iniziali.
Io dico “Camilla, ma tu fai sul serio o per te è un
gioco?”
C’è un momento di silenzio. So che dovrei tacere i due
dettagli che sto per dire; sono vecchio ormai e so cosa “crea un clima” e cosa
“lo distrugge”. Ma ogni volta che ci penso (e ci ho pensato tante volte a
questo che è stato uno dei momenti più belli di tutta la mia vita), non riesco
a censurare questi due dettagli. Allora sfidando impassibile la smorfia di
disgusto del lettore romantico, continuo.
Camilla si mette a fare delle facce buffissime, come quelle
di certi cartoni animati… io mi sto scaccolando… a un certo punto una
fisarmonica in lontananza attacca “Lara’s theme” . Prendo Camilla tra le
braccia e la faccio ballare su quest’aria di valzer. Senza accorgerci
inciampiamo in un bacio. Lungo, profondo, appassionato.
Non dico altro. Come hanno detto mille volte i poeti ci
sono sensazioni che è bellissimo vivere quanto inutile tentare di descrivere.
C’è una frase banale e risaputa, ma efficacissima per fotografare quello che
provai in quel momento: “troppo bello per essere vero”. Anche l’aria della sera
divenne magica, come se Camilla ci avesse spruzzato dentro qualcosa di suo…
sentivo la mia mente pervasa dal pensiero di lei, non riuscivo a pensare a
nient’altro, Roma era Camilla, il mondo era Camilla, l’universo era Camilla.
Eppure, mi sforzavo di pensare con un briciolo di razionalità, questa ragazza
non ha niente di diverso dalle altre, domenica sera tornando a casa mi ero
soffermato a pensare che era anche un po’ stronzina… eppure… la sentivo importante,
molto importante per me… sentivo confusamente che nulla sarebbe più stato come
era stato finora. Passai una mezz’ora a temere che tutto fosse un sogno. Ho già
provato questa sensazione –mi dicevo- tra un attimo mi sveglierò e mi ritroverò
nel mio letto. Invece chiudevo gli occhi, li riaprivo e davanti a me vedevo
sempre lei. Camilla prima di ogni cosa, Camilla sopra ogni cosa. Davanti a lei
mi sentivo niente. Persino tutto l’amore che provavo o che credevo di provare
era niente. Restammo a parlare per tutta la notte. Credo di
ricordare le parole che ci dicemmo (o forse le ho rielaborate ogni volta che ho
ripensato a questi momenti e ci ho aggiunto qualcosa via via che le circostanze
facevano di me una persona diversa nel corso della mia lunga vita). Ma delle
mille parole che sussurrammo al cielo non ce n’è una che mi vada di scrivere
qui dentro. Era quasi l’alba quando la presi per mano e la guidai verso casa
mia. Un fornaio aveva già messo sul banco degli sfilatini caldi e ne comprammo
due. Mi accorsi di non avere la chiave di casa, ma non me ne importava più di
tanto. Spuntò il sole, ma noi non lo vedemmo. Ci eravamo addormentati, mano
nella mano sulla scala.
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