venerdì 20 aprile 2012

Da Questo piccolo grande amore: CON TUTTO L'AMORE CHE POSSO



mercoledì


Con tutto l’amore che posso

A quei tempi del calcio non me ne fregava niente, ma l’idea che i miei fossero andati con un treno speciale della ditta dove lavorava mio padre a Graz a vedere la Roma in coppa Uefa mi aveva dato un senso di felicità inaudito. Telefonai a Camilla e scoprii con incredulità che anche i suoi e suo fratello erano andati alla partita.
“Allora stasera siamo soli… vengo da te?”
“Sì bravo, così domani i vicini lo dicono ai miei e mio padre mi spara”
“Ti direi di venire da me, ma ho una portiera che non si fa mai i cazzi suoi”
Ci accordammo per farci una pizza in centro e poi due passi sul lungotevere.
Il tramonto era di una bellezza da togliere il respiro. Mi venne in mente uno dei pochissimi frammenti di letture scolastiche che ti entrano nella pelle e ci rimangono per tutta la vita. Una volta in quinta il professore di italiano ci aveva letto l’inizio di un romanzo. Non chiedetemi titolo ed autore perché non me li ricordo. Una palla micidiale: un tipo che se la tirava da matti, principe, spadaccino e poeta aveva avuto una relazione con una mezza baldracca, tale Elena Muti (anche se il giorno dell’interrogazione avrei fatto ridere i polli chiamandola Ornella), poi si erano piantati, erano passati due anni e lui l’aveva invitata di nuovo a casa sua e fremeva nell’attesa “e se Elena non venisse… ma verrà… eccola è lei… non è lei… e preparava il tè… e il camino… e naturalmente il letto… e ne ricordava il viso… e la voce.. e il passo… mai letta una menata più pallosa, tutta la classe che sbadigliava e si lamentava… eppure al momento, quando il professore aveva cominciato a leggere, le prime due righe mi avevano affascinato, ero rimasto estasiato come raramente mi accadeva. Me le ero trascritte, me le  rileggevo spesso e me le ripetevo a memoria:  “L'anno moriva, assai dolcemente. Il sole di San Silvestro spandeva non so che tepor velato, mollissimo, aureo, quasi primaverile, nel ciel di Roma”. Quelle parole mi avevano emozionato, come sempre mi emoziona un tramonto romano. Ed eccoci qui questa sera a veder tramontare il sole dietro i colli… Il vento ci soffia in faccia; la luce del tramonto colora magicamente tutto il paesaggio… io all’improvviso, come in un film, mi metto a gridare: “Camillaaaaaaaa” e lei di rimando: “Claudioooooooooooo” .
Ed io di nuovo: “Camillaaaaaaaa” e lei subito: “Claudioooooooooooo” .
Ci fosse un albero o un muro vi incideremmo il cuore trafitto e le nostre iniziali.
Io dico “Camilla, ma tu fai sul serio o per te è un gioco?”
C’è un momento di silenzio. So che dovrei tacere i due dettagli che sto per dire; sono vecchio ormai e so cosa “crea un clima” e cosa “lo distrugge”. Ma ogni volta che ci penso (e ci ho pensato tante volte a questo che è stato uno dei momenti più belli di tutta la mia vita), non riesco a censurare questi due dettagli. Allora sfidando impassibile la smorfia di disgusto del lettore romantico, continuo.
Camilla si mette a fare delle facce buffissime, come quelle di certi cartoni animati… io mi sto scaccolando… a un certo punto una fisarmonica in lontananza attacca “Lara’s theme” . Prendo Camilla tra le braccia e la faccio ballare su quest’aria di valzer. Senza accorgerci inciampiamo in un bacio. Lungo, profondo, appassionato.
Non dico altro. Come hanno detto mille volte i poeti ci sono sensazioni che è bellissimo vivere quanto inutile tentare di descrivere. C’è una frase banale e risaputa, ma efficacissima per fotografare quello che provai in quel momento: “troppo bello per essere vero”. Anche l’aria della sera divenne magica, come se Camilla ci avesse spruzzato dentro qualcosa di suo… sentivo la mia mente pervasa dal pensiero di lei, non riuscivo a pensare a nient’altro, Roma era Camilla, il mondo era Camilla, l’universo era Camilla. Eppure, mi sforzavo di pensare con un briciolo di razionalità, questa ragazza non ha niente di diverso dalle altre, domenica sera tornando a casa mi ero soffermato a pensare che era anche un po’ stronzina… eppure… la sentivo importante, molto importante per me… sentivo confusamente che nulla sarebbe più stato come era stato finora. Passai una mezz’ora a temere che tutto fosse un sogno. Ho già provato questa sensazione –mi dicevo- tra un attimo mi sveglierò e mi ritroverò nel mio letto. Invece chiudevo gli occhi, li riaprivo e davanti a me vedevo sempre lei. Camilla prima di ogni cosa, Camilla sopra ogni cosa. Davanti a lei mi sentivo niente. Persino tutto l’amore che provavo o che credevo di provare era niente. Restammo a parlare per tutta la notte. Credo di ricordare le parole che ci dicemmo (o forse le ho rielaborate ogni volta che ho ripensato a questi momenti e ci ho aggiunto qualcosa via via che le circostanze facevano di me una persona diversa nel corso della mia lunga vita). Ma delle mille parole che sussurrammo al cielo non ce n’è una che mi vada di scrivere qui dentro. Era quasi l’alba quando la presi per mano e la guidai verso casa mia. Un fornaio aveva già messo sul banco degli sfilatini caldi e ne comprammo due. Mi accorsi di non avere la chiave di casa, ma non me ne importava più di tanto. Spuntò il sole, ma noi non lo vedemmo. Ci eravamo addormentati, mano nella mano sulla scala.   




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