venerdì 3 febbraio 2012

Da Ti racconto una canzone FIORI D'ARANCIO

FIORI D’ARANCIO


Signore e signori buona sera. La nostra rubrica “Il caso della settimana” è dedicato stasera alla “sposa senza nozze", come ormai tutti la chiamano. In esclusiva assoluta abbiamo qui con noi la ragazza di cui tutta la città ha parlato a proposito ed a sproposito in questi ultimi tempi. Prego Sabrina, vieni avanti ed  accomodati su questa poltrona.
 Buonasera a tutti. Mi sono decisa ad intervenire a questa trasmissione di Telesicilia per raccontare come sono andate veramente le cose in una brutta storia che mi ha vista protagonista e che mi ha toccato profondamente. Mi chiamo Sabrina Spampinato. Oddio, in realtà mi chiamo Rosaria Carmela Agata Spampinato, ma ho sempre odiato questi nomi e, fin da piccola ho chiesto a tutti di chiamarmi Sabrina e con questo nome sono conosciuta. Sono qui stasera perché sono stufa di essere la favola della città. So che ultimamente tutta Catania ha riso alle mie spalle, e me ne dispiace, ammetto di essere stata una cretina e ne ho pagato le conseguenze, ma non so quante tra le ragazze di Catania che mi ascoltano in questo momento , al mio posto si sarebbero comportate in maniera diversa.
 Sabrina, scusa se ti interrompo, vuoi raccontare ai nostri telespettatori come hai conosciuto il tuo promesso sposo?
Ecco… Tutto è cominciato pochi giorni prima della festa di S. Agata. Ero andata alle Cererie con mia sorella e mia cugina per acquistare dei ceri da regalare alla mamma… e lì per la prima volta ho incontrato quel signore… non mi va nemmeno di pronunciarne il nome… va bene.. lo dico…Pippo Barone.
 Sabrina, tu sapevi vero che era ricchissimo? La sua macchina probabilmente è la prima cosa che ti ha colpito…
No. Le prime cose che mi colpirono di lui furono l’eleganza ricercata, le mani perfettamente curate, le labbra sottili che lasciavano intravedere trentadue denti bianchissimi e prefetti, ma soprattutto il suo sarcasmo violento, feroce che anziché infastidirmi mi fece innamorare a prima vista.  Si avvicinò a noi, cominciò a parlare di letteratura, poi di cinema, ci offrì una granita al limone… parlava anche a mia sorella e a mia cugina, ma si rivolgeva più volentieri a me. Io non avevo occhi che per lui… nonostante avesse una decina di anni più di me mi sembrò da subito l’uomo della mia vita. Parlava poco, aveva una erre rotata, ma non la nostra erre siciliana così marcata, no, una erre francese e lui su questo accento ci giocava… qualunque parola pronunciasse faceva cadere l’accento sull’ultima sillaba: il gelatò… il cinemà… la granità… Parlava poco, ma le sue battute taglienti che avrebbero potuto offendere qualcuno… a me affascinavano. La sera stessa venne a casa mia con un enorme vassoio di cannoli per papà ed un mazzo di fiori per la mamma: chiese a mio padre il permesso di frequentarmi e mio padre disse sì.
Senza chiedertelo, Sabrina?
Infatti. Premesso che questo fidanzamento mi riempì comunque di gioia, di emozione e di entusiasmo, voglio sottolineare che io non sono neppure stata consultata. Oramai,  ma è troppo tardi, mi sono resa conto di una cosa: quando mi fissava un appuntamento non era tanto interessato a me, ma godeva a scegliere tempi e luoghi particolari.
Ci vuoi fare qualche esempio di quello che dici?
Una domenica mi diede appuntamento alle otto di mattina da Sawia, in via Etnea. Era dicembre, puntai la sveglia alle sei e  mezza per farmi bella e piacergli di più…e mi alzai che era ancora buio. Mio padre stava per dirmi di tornare a letto, ma quando seppe che andavo ad un appuntamento con Pippo Barone trovò logico e normale questo orario. Quella volta attraversai mezza città deserta e silenziosa, arrivai in perfetto orario (Pippo impeccabile in un abito blu era già davanti al locale) e facemmo colazione da soli, mentre i camerieri ancora sistemavano sedie e tavolini, poi mi diede un bacio e mi disse “perdonami,  Sabrina, ma ho un impegno” e sparì nella bruma invernale. Un’altra volta mi disse di trovarmi a mezzogiorno da Ricordi in via s. Eupilio. Rimase fini alle due e mezza a guardare dischi di musica classica (io avevo una fame che mi sarei mangiata la commessa), poi mi baciò appassionatamente e si infilò in un taxi. E che dire di una sera alla stazione centrale? O di una merenda al chiosco Giammona in piazza Jolanda? Proprio lì, dopo aver preso tre cannoli ed un caffè doppio con la panna mi prese la mano, mi infilò al dito questo anello (“prego la telecamera di inquadrarlo” e mi disse: “Sabrina, amore, vorresti sposarmi?”
Non ebbi tempo di rispondere che lui già proseguiva: “Oh grazie tesoro, ci contavo, sapevo che avresti detto di sì. Ci sposeremo il dodici maggio, alle nove e trenta, nella chiesa del Cristo Re”.
“Ma…” dissi io.
“Ma niente. Parla ai tuoi e prepara l’abito, a tutto il resto ci penserò io”.
Sabrina di’ la verità, cosa hai pensato in quel momento?
Ho pensato che sposavo un uomo onesto e sicuro di sé.
Sabrina non piangere (APPLAUSI) ora mandiamo la pubblicità poi ci racconti cosa è successo il dodici maggio.
PUBBLICITA’
Allora Sabrina il pubblico a casa vuol sapere dell’organizzazione del tuo matrimonio.
Beh prima del dodici maggio il signor Barone è venuto a casa nostra ed ha chiesto a mio padre di occuparsi di tutto, perché lui doveva partire per un viaggio d’affari in Brasile.
Che tipo di affari Sabrina?
Non lo so, non ce lo disse
Scusa Sabrina ci stavi dicendo che Barone venne a casa tua?
Sì, è venuto ad accertarsi che tutto fosse a posto: inviti, bomboniere…
La casa, immaginiamo…
No, la casa no, disse che saremmo andati a stare in una sua villa fuori Catania, ma non me l’ha mai fatta vedere, diceva che doveva essere una sorpresa… che l’avrei vista entrandoci in braccio a lui la sera del nostro matrimonio.   
Ecco Sabrina ora siamo arrivati al momento centrale di questa intervista… cosa è successo il dodici maggio?
Il dodici maggio io mi sono alzata prestissimo, il giorno prima avevo preso accordi col parroco della chiesa del Cristo Re per i fiori… tutto l’altare era circondato di fiori d’arancio, io sono entrata al braccio di papà col mio abito di seta e di organza…
A che ora Sabrina? 
Alle nove e trenta, come aveva detto il signor Barone. La chiesa era piena di invitati, tutti di parte nostra, il mio sposo non aveva invitato nessuno, non aveva parenti né amici diceva. Passò un’ora… La gente cominciava a sbadigliare… poi a mormorare… poi a fare delle battute… io immobile davanti all’altare mi sentivo morire. Ci restai un’ora e mezza.
A cosa pensavi Sabrina?
Ma… non riuscivo a pensare a niente… cioè pensavo al giorno in cui mi ha chiesto di sposarlo, al mio vestito, mi chiedevo se gli sarebbe piaciuto… guardavo la faccia del prete che non parlava, ma era imbarazzatissimo… mai visto una persona così imbarazzata…
Ma non avete pensato di telefonargli?
Non aveva telefono, odiava il telefono.
E poi, Sabrina?
E poi niente. Il sacrestano andò dietro l’altare a dire all’organista di non intonare la marcia nuziale, io mi sentii male… mi sembrava di sentire suonare un requiem… non ricordo che mi disse la gente, ma mi pareva che mi facessero le condoglianze.
Sabrina hai più visto Pippo Barone?I giornali hanno detto che sai dov’è… che dietro questa messinscena c’è tutta una storia…
Non so niente. So solo che quello doveva essere il giorno del mio matrimonio.

NOTA Non ho mai visitato Catania. Di questa bellissima città (da me sempre e soltanto attraversata in pullman) conosco solo i micidiali campi di calcio lavici del CSI su cui si giocò la Joy Cup del 2003. Tutte le informazioni contenute in questo racconto provengono dalla mia amica Anna Vigo che ringrazio di cuore.



Fiori d’arancio
(Carmen Consoli)

Aveva uno sguardo intenso e diretto,
le dita curate e un sarcasmo congenito,
labbra sottili, armonioso contorno
di denti bianchi e perfetti.
Poche parole, eleganza nei modi,
una lieve cadenza d’oltralpe e dominio di sé.

Gli incontri divennero assidui e frequenti,
nei luoghi e agli orari più insoliti.
Quell’uomo intrigante teneva le redini
con singolare destrezza.

Pochi preamboli quando mi chiese:
“vorresti sposarmi?”, era onesto e sicuro di sé.

Ricordo il giorno del mio matrimonio,
l’abito bianco di seta ed organza,
fiori d’arancio intorno all’altare,
aspettavo il mio sposo con devozione.

La chiesa gremita di gente annoiata
per l’interminabile attesa.
Alle mie spalle sbadigli e commenti
e di lui neanche l’ombra lontana.

Pochi preamboli quando mi chiese:
“vorresti sposarmi?”, era onesto e sicuro di sé.

Ricordo il giorno del mio matrimonio,
l’abito bianco di seta ed organza,
nessuno sposo impaziente all’altare,
soltanto un prete in vistoso imbarazzo.
Ricordo il giorno del mio matrimonio,
l’abito bianco di seta ed organza,
nessuno sposo impaziente all’altare,
soltanto un prete in vistoso imbarazzo.

Ricordo il giorno del mio matrimonio,
l’abito bianco di seta ed organza,
nessuna marcia nuziale,
soltanto il mio tacito requiem
e immenso cordoglio

Questa canzone è stata incisa da Carmen Consoli




 
 
 
 

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