venerdì 6 gennaio 2012

Da Ti racconto una canzone: ANCHE PER TE


ANCHE PER TE

Buongiorno signora Maria. La gente di qui mi ha detto così tante cose che ormai so tutto di lei, dei suoi novant’anni portati splendidamente. So che alle cinque di mattina è già in piedi: un caffè, un minimo di toeletta senza guardare lo specchio (la rattrista vedersi com’è ora e ripensare alla Maria di settanta o anche solo di quarant’ani fa…) e poi, col suo passo incerto e strascinato, via subito in chiesa a cantare le lodi del Signore. Forse a volte tra un Padre Nostro ed un’Avemaria si distrae un attimo e pensa alla sua vita, al mondo che ha conosciuto, così diverso dal mondo di oggi in cui non si riconosce; ma per lei ormai mondo è sinonimo di passato. E’ “passato” la cascina in cui è nata, il borgo rurale che allora era un comune ed ora è stato inglobato dalla grande Milano di cui è diventato un quartiere dormitorio tutto palazzoni, cemento, droga ed extracomunitari; quando lei nacque suo padre era in guerra, la vide per la prima volta che aveva tre anni e già parlava, poi gli anni terribili del dopoguerra, la fame nera placata solo da un po’ di polenta tre volte al giorno, la spagnola, gli scioperi dei contadini, l’occupazione delle terre, il fascismo, tanto lavoro e poche soddisfazioni, i fratelli e le sorelle a cui lei badava come una mamma, il papà tornato malato dalla guerra, il dito da lei lasciato in una macchina (e grazie a Dio solo un dito…) poi l’amore, il matrimonio e lo scoppio della seconda guerra mondiale. Pochi mesi di matrimonio e suo marito si ammalò di una malattia dal nome difficile da dire e da ricordare, ciò che lei ricorda bene, signora Maria, è che il Giovanni aveva bisogno di mare e il comune lo mandò a Pietra Ligure, lasciando lei ad affrontare gli anni duri della guerra e di Salò da sola. Trovò anche modo (mi dicono) di dare una mano alla Resistenza nascondendo in casa armi e volantini, ed una volta anche un partigiano ricercato dalle brigate nere. Poi il dopoguerra, il ritorno della pace, ma anche del pane e della carne; tutto sembrava nuovo, fresco, limpido, pulito, c’era nell’aria una ventata di ottimismo, anche il suo Giovanni era guarito ed era tornato a casa, ma una mattina svegliandosi se lo trovò morto nel letto: infarto. E da allora cinquantacinque anni di solitudine, affrontata non con rassegnazione ma con grinta, l’impegno nel sindacato e nel Partito Socialista, (quello di Sandro Pertini, dei Greppi, padre e figlio, di Riccardo Lombardi e di Lelio Basso, non quello che la fece piangere di vergogna ai tempi di Tangentopoli!!!), la nascita di due nipoti in cui da subito vide i figli che non aveva avuto… quante volte l’hanno sentita decantare la bellezza di lei o l’intelligenza di lui… e intanto gli anni passavano, l’Italia si riempiva di strade, di macchine e di elettrodomestici, la Madonnina di via Mosca che segnava il limite estremo del paese, un monumento che era nel cuore di tutti i suoi compaesani, anche degli atei, veniva abbattuta  e al suo posto ci costruivano un supermercato, gli studenti contestavano, l’uomo andava sulla luna, nelle strade si tornava a sparare e lei sempre ad aiutare chiunque  avesse bisogno: facendo una visita, o la spesa, o una telefonata, a volte anche solo dicendo una buona parola. Intanto i fratelli ed i nipoti andavano ad abitare lontano, i vecchi amici uno dopo l’altro morivano, il mondo era sempre più differente da quello che aveva conosciuto. Ora si sente una sopravvissuta… quasi tutti coloro che ha amato, che hanno significato qualcosa per lei riposano nel grande cimitero suburbano di via Seguro… a volte le sembra che Dio l’abbia dimenticata, che il suo star qui non abbia più senso, tanto più che non riesce più a dare una mano a chi ne ha bisogno… anzi comincia a trovare difficoltà anche ad aiutare se stessa… i nipoti sono diventati a loro volta adulti, e poi  vecchi, genitori stressati e pieni di grattacapi che le telefonano quando si ricordano: a Natale, a Pasqua, il giorno del compleanno… Non riesce ad orientarsi tra telefonini, computer, schede telefoniche, carte di credito; le sue preghiere terminano sempre con un’accorata implorazione: “Signore, prendimi con te”.
Buongiorno, Samantha (ma io so che ti chiami Piera, Samantha è il nome di battaglia che utilizzi quando esci la sera con i tacchi a spillo, la mini esagerata, la canottiera aderentissima, la parrucca rossa, il trucco vistoso, la borsetta con lo scomparto per i preservativi e quello per i soldi…) E’ dura e lunga la tua notte, povera Samantha, le cosiddette “donne di piacere”, come ha notato Georges Brassens, di piacere non ne provano per niente a subire il contatto con decine di bocche, mani, corpi estranei, spesso sporchi, sudati, bavosi, violenti, egoisti, pretenziosi. E tu devi sorridere anche se hai il magone, devi fingere non dico piacere, come le tue colleghe più fortunate che lavorano in appartamento, ma almeno indifferenza, mentre avresti voglia di urlare, di vomitare, di esprimere il tuo schifo ed il tuo disgusto. Ma il momento più brutto è il mattino, quando albeggia: le strade si svuotano, nessuno ti cerca più; un cappuccino, una brioche e te ne torni a casa. Perché è il momento più brutto? Perché in casa c’è lui, l’uomo di cui sei innamorata, quello che ti ha convinta a fare questa vita d’inferno. Tu entri e lui dorme. Si sveglia solo se ti sente dire che la notte è stata sfigata ed hai avuto pochi clienti (in questo caso balza in piedi bestemmiando e non di rado ti prende a cazzotti o a calci), altrimenti guarda appena la mazzetta di soldi che tu depositi sul letto e si volta dall’altra parte. E tu lo vedi bello, forte, muscoloso… tutte le attività erotiche che sei stata costretta a fare per tutta la notte con vecchi, maleducati, buzzurri, cafoni, scorfani, con lui diventerebbero giochi meravigliosi, un autentico dono d’amore e magari ci provi, ma lui sbuffa e prima di girarsi dall’altra parte ti ringhia nelle orecchie “lasciami dormire, cazzo!”.
Buongiorno Carmen, dolce ragazza del sud con la tua tuta da operaia, i grandi occhi scuri e l’aria sempre dimessa. Mi piace sentirti la mattina quando svegli il tuo bambino, a volte con dolcezza, a volte col tono un po’ isterico; però sai sempre trovare la parola giusta per i suoi piccoli grandi problemi con la maestra o con i compagni di scuola. Ti immagino di là del muro mentre gli prepari il caffelatte, il pane del giorno prima (qualche volta, ma solo qualche volta, i biscotti e la marmellata o la cioccolata), poi dalla finestra ti vedo mentre lo metti sulla canna della tua vecchia bici da uomo (dono di un nostro vicino di casa) e lo accompagni a scuola. Avevi quindici anni Carmen, ma allora tutti ti chiamavano ancora Carmela, quando a casa di un’amica hai conosciuto quel tipo. Tu non sapevi niente del mondo se non quel poco che ti avevano detto le amiche e i giornali che leggevi dalla parrucchiera (“Grand Hotel”… “Kissme”… “Cioè”…). Ti è parso di avere incontrato il principe azzurro,  hai creduto a tutte le balle che ti ha raccontato, hai vissuto per qualche settimana su una nuvoletta dorata, poi quando hai scoperto di essere incinta e glielo hai detto lui se n’è andato senza neppure un saluto. Solo allora un’amica ti ha detto che quel tipo era sposato e padre di due figli e che non avrebbe certo mandato a monte il suo felice ménage familiare per una mocciosa. Hai deciso da subito che lo avresti tenuto il bambino, non hai nemmeno voluto sentir parlare di aborto. Sei salita sul primo treno, senza neanche dirlo ai tuoi genitori, sei venuta a Milano, hai cominciato a fare la donna delle pulizie e continui a farlo di sera come secondo lavoro anche ora che sei stata assunta da un’industria metalmeccanica come operaia. D’altre parte le spese sono tante, lo stipendio è quello che è ed oggi la vita è veramente cara, specie in una grande città. Inoltre tuo figlio già non ha il papà, non vuoi farlo sentire troppo diverso dagli altri e qualche volta gli concedi qualcosa che oggettivamente non ti potresti permettere. Ti osservo spesso in ascensore, o al supermercato, o per la strada: ogni volta che un uomo ti guarda ti irrigidisci, ti si contraggono i lineamenti del volto e giri la testa dall’altra parte. Del resto lo scorso anno quando mi sono messo a farti il filo ho ottenuto solo di portarti una sera a mangiare un gelato. Non dimenticherò mai le tue parole: “Tu sei una cara persona, una persona perbene, sei anche un bel ragazzo… ma, scusami se te lo dico, io dei maschi ho il terrore”. Ti capisco. L’unico che hai conosciuto ti ha così devastata che non hai più il coraggio di cominciare una nuova storia E un’altra cosa ho notato: ogni volta che vedi passare una coppia mano nella mano o spingendo una carrozzina o quando senti discorsi tipo “non vedo l’ora di raggiungere la mia famiglia al mare” trattieni a stento un sospiro e gli occhi ti si riempiono di lacrime. Nella tua vita hai commesso un solo errore, ma lo stai pagando a caro prezzo. Deve essere terribile vivere di rimpianto.
Maria, Samantha, Carmen, donne meravigliose, piene di coraggio, vite intrise di lacrime e di sospiri, ma si sa che il dolore rende sensibili, grandi, buoni: sento di volervi bene. Mi accade di pensare a voi per ore ed ore… vorrei parlare di voi, scrivere di voi, dedicarvi una poesia, una canzone, magari solo un pensiero… Invece ho finito per dedicare la mia vita ad una persona che le mie riflessioni non è in grado di apprezzarle. E anch’io nei momenti di solitudine ho un sogno segreto: prendere la mia sensibilità e farla fluttuare nel vento, finché non raggiunga “lei”, quell’altra che anche nel vento la riconoscerebbe; l’apprezzerebbe e mi direbbe finalmente quel sì che non mi ha mai detto.


Anche per te
(Mogol-Battisti)
Per te che è ancora notte e già prepari il tuo caffé
 ti vesti senza più guardar lo specchio dietro te
che poi entri in chiesa e preghi piano
e intanto pensi al mondo ormai per te così lontano.
Per te che di mattina torni a casa tua perché
per strada più nessuno ha freddo e cerca più di te
per te che metti i soldi accanto a lui che dorme
e aggiungi ancora un po' d'amore a chi non sa che farne.
Anche per te vorrei morire ed io morir non so
anche per te darei qualcosa che non ho
e così, e così, e così
io resto qui
a darle i miei pensieri,
a darle quel che ieri
avrei affidato al vento cercando di raggiungere chi...
al vento avrebbe detto sì.
Per te che di mattina svegli il tuo bambino e poi
lo vesti e lo accompagni a scuola e al tuo lavoro vai
per te che un errore ti è costato tanto
che tremi nel guardare un uomo e vivi di rimpianto.
Anche per te vorrei morire ed io morir non so
anche per te darei qualcosa che non ho
e così, e così, e così
io resto qui
a darle i miei pensieri,
a darle quel che ieri
avrei affidato al vento cercando di raggiungere chi...
al vento avrebbe detto sì.
Questa canzone è stata incisa da Lucio Battisti e da Silvia Salemi


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